sabato 26 maggio 2012

Tortino di foglie di ravanelli

La maggior parte delle volte non sono le ricette di per sé a colpirmi ma il modo in cui sono raccontate. Quando ho letto su Facebook questa ricetta postata da Michele Charlie Barbieri, non ho resistito e gli ho chiesto l' autorizzazione a pubblicarla. Charlie è così stato sopramminato dagli amici perché è uno che ciarla tanto, e credo risulti chiaro dal testo che segue...



un po' per caso, un po' per una tendenza forse solo in parte legata alle contingenze economiche di questo periodo storico, abbondano le ricette a base di avanzi, scarti, di recupero o a base di prodotti dimenticati.
l'altro giorno stavo levando i ravanelli: ormai quelli che eran venuti eran venuti, e quelli che non avevano ancora sviluppato la radice non lo avrebbero più fatto... insomma, pur non avendo mai avuto una gran passione per il ravanello mi dispiaceva un po' svellere tutte quelle piantine rigogliose sapendo che tre quarti buoni sarebbero finiti nel compost.... poi quei ciuffi di foglie così verdi, così carnose.... mentre la mi' nonna mi diceva -'o cosa fai!?! ero già li che masticavo con entusiasmo.
ottimo: il primo assaggio era incoraggiante!

poi....

poi mi son prese le paranoie da biologo: sarà commestibile? avrà qualche spiacevole effetto collaterale? avrà qualche piacevole effetto collaterale?
cerco in qualche libro notizie sul consumo delle foglie di ravanello ma nulla...
cerco in rete e trovo qualche notizia.... molte notizie.... poche o molte!?!? boh!?!
in realtà non ci ho nemmeno badato perché quello che cercavo era una rassicurazione, un calcio in culo morale: mi bastava di leggere "io le ho mangiate e non sono morta/o"!
svanita la pura da intossicazione un rapida sbollentata ha ridotto una balla di rappe di ravanello in una masserella di verdurine piacevolmente amarognole ancorché fibrose.
all'inizio dovevano essere passate in padella con un po' d'aglio come gli erbi, poi diventare condimento per le orecchiette, poi dovevano impastarsi con ricotta e altri ingredienti per diventare gnocchi, un impasto simile doveva essere infornato ricoperto di pasta sfoglia.
il tempo passava e i ravanelli guardavano dubbiosi fuori dal frigo ogni volta che qualcuno lo apriva.
alla fine, forse sempre per quelle contingeze econmiche di cui sopra, i ravanelli si sono volentieri accontentati dei loro compagni di prigionia:

- pan grattato;
- un uovo;
- pecorinodimenticatodadioedalluomo;
- scorza di limone;
- mezza cipolla mimetizzatasi nello sportello;

a cui la misericordia ha aggiunto:

- uno spicchio d'aglio;
- sale & pepe;
- noce moscata;
- pane vecchio;
- olio.

per la preparazione in una padella si soffriggono agliocipollafogliediravanello, tutti tritati finemente.
raffreddate le verdure si aggiungono il pan grattato, il pane raffermo a tocchetti, l'uovo, il pecorino grattugiato, la scorza di limone tritata, la noce moscata, il pepe e il sale.
si unge una terrina di dimensione consona, pan grattato sul fondo, e 'un c'è carta forno che tenga: ci si versa il composto e si cuoce alla temperatura e per il tempo che ognuno meglio saprà visto che i forni sono parecchio ma parecchio capricciosi.
io che son signore prima di infornare c'ho spolverato dell'altro pan grattato anche sopra, così, crepasse l'avarizia. tanto nel barattolo ci giunto sempre le briciole del pane...

era bòno, pensavo peggio.

una cosa che c'avrei messo volentieri in mezzo dall'inizio è del pesce, ma non ero punto convinto: di sicuro l'acciughe salate nel soffritto ci stavano, e secondo me anche fresche nel mezzo all'impasto non sarebbero state male. forse anche le sarde o lo sgombro, ma 'un c'avevo nulla davvero per prova'.
cosa invece c'avevo ma mi son dimenticato è l'uvetta, che secondo me ci stava di brutto così come i pinoli, o dei pomodori secchi...
insomma, se vi pare, provate e suggerite!

domenica 20 maggio 2012

Maltagliati con sugo di farro, carciofi e fave fresche


Conosco il farro da quando vivo in Toscana (e sono ormai 12 anni!). Non si è ancora liberato dall' allure esotica che per me aveva all' inizio. Ero a conoscenza della sua esistenza, ma non l' avevo mai visto. Oggi lo si trova dappertutto, ed è purtroppo svilito in anonime insalate fredde servite agli aperitivi o costretto in zuppe congelate dei vari casali. I miei esperimenti con la farina di farro non sono sempre stati soddisfacenti. Per quanto secondo me si presti a preparazioni dolci, nelle torte tende a seccarsi (cosa che non accade, ad esempio, al grano della pastiera). Insomma, pur apprezzandone il sapore lo trovo a tratti difficile da capire e prevedere, come ingrediente, proprio come si conviene agli ingredienti esotici. 
Ne era rimasto un residuo in un sacchetto e quindi ho deciso di farci un sugo bianco, reso decisamente primaverile dalla presenza di fave fresche e carciofi. 


Ingredienti per quattro persone:
320 gr di maltagliati
4 cucchiai di farro
2 carciofi
8 fave fresche
un quarto di porro
timo
un dito di vino bianco
sale qb
olio d' oliva qb

Metti in ammollo il farro per circa due ore, poi cuocilo in acqua bollente per circa 15 minuti. In una padella fai rosolare nell' olio il quarto di porro affettato con un rametto di timo, aggiungi i cuori di carciofi tritati insieme alle fave fresche (alle quali va tolta l' involucro esterno prima di tritarle). Fai cuocere per dieci minuti, sfumando con del vino bianco. Aggiungi il farro e fai insaporite. Lascia cuocere ancora il sugo, ma lasciandolo abbastanza umido. Fai cuocere in acqua bollente i maltagliati e, dopo averli scolati, buttali nella padella, lasciando insaporire per due minuti. 

giovedì 10 maggio 2012

Insalata umami di pomodori di Pachino, fragole e aceto balsamico di Modena

Oggi ho infranto un mio tabù: l' uso delle fragole in cucina al di fuori di dolci e macedonie. Non per buttarle in un triste risotto alle fragole, che fa tanto anni '80, ma per tentare un esperimento. Da quando ho scoperto l' esistenza dell' umami, la mia sfera sensoriale è la stessa ma la mia esperienza del mondo è più ricca perché riesco a dare un nome nuovo ad un gusto. 
Ho capito perché amo alla follia mangiare pomodori crudi e sugosi, quando sono ben maturi (e maturi di sole). Perché i pomodori sono la fonte, tutta italiana, di glutammato monosodico. Solo che noi li condiamo, li speziamo, li cuciniamo e spesso ci dimentichiamo quanto sono buoni di per sé.
Mettete fragole nelle vostre insalate, sì, ma rinunciando alle cipolle. Ma rinunciando al sale. Metteteci piuttosto dei pomodori buoni, dolci e piccoli come i pomodori di Pachino. E abbiate il coraggio di condire il tutto solo con aceto balsamico, ma di quello vero, denso e saporoso, che viene da Modena.
E' un assemblaggio così minimale di adorabili ingredienti che mi vergogno quasi a scriverne, ma volevo celebrare il quinto sapore, che è - guarda caso - anche uno dei più confortanti.



Ingredienti per quattro persone:
- pomodori di Pachino e fragole mature in parti uguali
- olio d'oliva
- abbondante aceto balsamico di Modena


Taglia ogni fragola e ogni pomodoro di Pachino in quattro spicchi, condisci con un filo d'olio e abbondante aceto balsamico.

domenica 6 maggio 2012

Spaghetti al pomodoro alla Fornero


Siamo italiani, e non c'è quindi da meravigliarsi che il cibo ricorra in molte delle recenti diatribe politiche e degli scandali grandi e piccoli. Cene luculliane con conti a tre zeri offerte da loschi individui a politici in grado di pilotare appalti. 
Ti chiedono sacrifici, e poi loro vanno al ristorante a mangiare un piatto di spaghettini al caviale con dei soldi che, ovviamente, erano stati destinati ad altro uso. 
Ti propongono riforme per abolire i privilegi e poi, di fronte ai prezzi della buvette saliti a standard normali, loro vanno a mangiare altrove, facendo licenziare chi ci lavorava. Che signori, gente che davvero vuole il bene di questo Paese. 
Di fronte del caciaronismo della Lega (che compra diamanti, ma potrebbe anche comprare piantagioni di zucchero e caffè, a questo punto), Monti si vede costretto a comunicare ufficialmente il suo menù di Capodanno (poca roba, via). 
Ma in termini di cibo & politica la mia preferita è sicuramente Elsa Fornero, ovvero "la" Fornero. 
"La" Fornero, falsamente materna come quelle maîtresse che ti buttavano nelle braccia del pervertito di turno, cosa dice alla delegazione di precarie che si presentano alla sua porta per discutere delle loro difficoltà? Che del salario minimo garantito non se ne parla. E ci sarebbero mille ragioni per argomentare questa posizione, ma la dolce Elsa cosa fa? Sbotta e, come ci ha già mostrato in questi mesi, sbottando offre uno squarcio realistico del suo pensiero: 

"L’Italia è un Paese ricco di contraddizioni, che ha il sole per 9 mesi l’anno e che con un reddito base la gente si adagerebbe, si siederebbe e mangerebbe pasta al pomodoro". 

Invece "la" Fornero vorrebbe un Paese polarizzato, da un lato una maggioranza che rosicchia croste di pane secco, dall' altro una minoranza che smangiucchia di malavoglia linguine all' astice. 
Contro chi la pensa come lei, 1000 piatti di spaghetti al pomodoro, a tenerci comodamente e paritariamente seduti nelle nostre cucine. 
(Lo so, quello che segue sembra un banalissimo piatto di spaghetti al pomodoro, ma in realtà il passaggio nel forno cambia il risultato.)






Ingredienti per quattro persone:
320 gr di spaghetti
30-40 pomodorini di Pachino
un rametto di rosmarino 
uno spicchio d'aglio
un peperoncino sott'olio
sale qb
olio d'oliva qb


Scalda il forno a 200 gradi per dieci minuti e poi inforna una teglia di ceramica o terracotta con dentro i pomodorini interi lavati, conditi con olio, sale, uno spicchio d'aglio intero e un rametto di rosmarino. Lascia cuocere e sfrigolare in forno per venti minuti/mezz'ora, mentre l' acqua per la pasta bolle. Butta gli spaghetti e tira fuori la teglia dal forno; schiaccia con una forchetta i pomodori, togli l' aglio. Scola gli spaghetti un po' meno cotti che al dente, mettili nella teglia, gira per condirli e rimetti la teglia in forno a 180 gradi per dieci minuti, così gli spaghetti si asciugano e la loro cottura viene terminata. 

martedì 1 maggio 2012

Zuppa di fagioli mung con curcuma, semi di senape nera e prezzemolo

La prima volta che ho provato la cucina indiana ero a Berlino, con una mia amica tedesca che mi trascinò in tutti i ristoranti etnici possibili per tenermi lontana dal cibo para-italiano. 

Fu amore al primo boccone.

Tutto iniziò lì, e poi ci fu l' acquisto del curry al supermercato - quello che io oggi definirei tranquillamente curry debole o finto curry - e la sua introduzione, in dosi pressoché omeopatiche, in vari piatti (tipo riso alle verdure E una puntina di finto curry).

Beata ingenuità.

Sono passati più o meno otto anni da quell' epifania e il mio amore non è mai scemato ma è stato anzi alimentato da letture, dall' acquisto di libri, da tentativi più o meno riusciti e soprattutto dalle sortite in periferici e malmessi negozi etnici alla ricerca delle spezie e degli ingredienti.
Se solo tre anni fa dovevo dannarmi l' anima per trovare un pezzo di zenzero fresco oggi la comunità pakistana in Italia è ben radicata e quindi riesco a trovare (quasi) tutto (e la cucina pakistana ha molti punti di contatto con quella indiana).
Giustamente la cucina italiana, così come quella francese, vengono considerate raffinate ed elaborate ma, credetemi, nessuna cucina è maestra di vita come la cucina indiana. 
Non esiste un dogma, non esiste un libro di riferimento ma uno stesso piatto è preparato in mille modi diversi e anche solo un dosaggio leggermente differente delle spezie porta ad un risultato completamente differente.
La povertà delle materie prime contrasta con il risultato finale, che è a volte quasi barocco. Le preparazioni di base seguono delle loro regole che non troverete mai scritte ma che, poco alla volta e a costo di numerosi tentativi, entreranno nelle vostre mani come un sapere che c'è sempre stato. 
Non mi vergogno a dire che mi è capitato un paio di volte di buttare il risultato di ore di preparazione, soprattutto durante i primi esperimenti. Può uscire fuori del cibo immangiabile, perché avete sbagliato qualcosa e non sapete dove avete sbagliato fino a quando, con la santa pazienza, non vi rimettete a preparare lo stesso piatto, cambiando qualche variabile. 
I barattoli di spezie fanno bella mostra di sé nella mia cucina e certi cibi rientrano ormai nella mia dieta abituale ma più piatti sperimento più sono consapevole del fatto che non ne so nulla.
E' per questo che non smetterò mai, ben sapendo che non c'è nessuno standard da raggiungere. 
E' per questo che mi sento rassicurata dalla presenza dei barattoli sulla mensola. Mi ricordano che la materia è ottusa ma che è nelle mani la forza e la saggezza per ammaestrarla, imparando dai propri errori. 


Ingredienti per 4 persone:
2 tazze di fagioli mung spezzati e decorticati
un quarto di cucchiaino di curcuma
1 cucchiaino di semi di senape nera
olio e prezzemelo fresco qb

Lava bene i fagioli fino a quanto l' acqua non è trasparente. Mettili in una pentola con 4 tazze d'acqua, il sale e la curcuma e lascia bollire a fuoco medio per 30/40 minuti (fino a quando i fagioli non sono teneri). Attenzione alla schiuma che si forma (come per tutti i legumi) e che va tolta onde evitare cascate d'acqua sui fornelli. Quando i fagioli sono teneri, spegni e con un frullatore ad immersione riduci in passato il tutto, aggiungendo un po' di acqua calda se vuoi un risultato più liquido. In una padellina versa due cucchiai d' olio d'oliva e i semi di senape. Quando sfrigolano spegni questo condimento e versalo nella pentola con la zuppa. Aggiungi del prezzemolo fresco tagliato a listarelle (va bene anche il coriandolo, ma io preferisco il prezzemolo).