lunedì 7 novembre 2011

Tocchetti di zucca al forno con rosmarino

Nell' ultima casa in coabitazione nella quale ho vissuto c'erano due ragazze siciliane più giovani di me di sei anni, diverse l' una dall' altra. La fanciulla di Salemi era sorridente e gioviale, a tratti deliziosamente infantile; la fanciulla di Catania era musona, piagnucolosa e diffidente. 
Come in una fiaba di streghe cattive, la musona prevalse, costringendoci a cenare ciascuna nella propria camera per sottrarsi alla noia e alla lagnosità della sua conversazione durante i pasti. 
In tanti anni di convivenza non ero mai arrivata a tanto e questa situazione mi pesava ma non vedevo vie di fuga ed ogni tentativo di rassenerare l' atmosfera - ahimé - fallì.
Io e la fanciulla di Salemi ci ingegnavamo nel cucinare pietanze che potessero essere consumate anche per più giorni. Me la ricordo, quando si chiudeva in cucina di notte e iniziava a prepararsi manicaretti per l' indomani e io magari tornavo perché ero uscita la sera e sentivo tutti questi buon profumi aleggiare per la casa. 
Sebbene sia una storia molto triste, è a lei che devo questa ricetta semplicissima ma buona che le aveva insegnato sua madre. 




500 gr. di zucca
sei cucchiai di farina di grano duro
due cucchiai di farina 00
sale qb.
pepe qb.
rosamarino tritato qb.
olio
 
Taglia la zucca in pezzetti dello spessore di 1 cm e della lunghezza di 5/6 cm. Passali nell' olio messo precedentemente in un piattino e poi nelle farine mescolate a sale, pepe e rosmarino tritato, poste in un altro piatto. Fai aderire bene la farina alla zucca. Inforna per 30 minuti nel forno a 180 gradi. Più olio si mette più sarà croccante la crosticina alla fine. 
Buonissimi anche freddi e facili da mangiare con le mani. 

martedì 25 ottobre 2011

Zuppa di fagioli vellutina alla Pino Grisanti

Io ci penso spesso, a Pino Grisanti, da quando ho visto Il ritorno di Cagliostro. Ripenso al suo personaggio, il regista-suo-malgrado, così sprezzantemente disgustato dal proprio lavoro. Mi viene in mente che c'è un po' di Pino Grisanti in ognuno di noi, che spesso siamo buffamente contrariati da ciò che pure, evidentemente, amiamo tanto. E poi ripenso al novembre di due anni fa, a Palermo. Alla barocca decadenza di Palermo, agli splendori di marmo fianco a fianco con i cumuli di lamiere. 
E mi viene in mente questo, che oltre a essere tutti un po' Pino Grisanti, siamo anche un po' tutti splendori di marmo frammisti a cumuli di lamiere. 




E mentre pensavo a tutto questo ed avevo per casa, in uno scaffale, una busta di fagioli vellutina (fagioli ragusani, di un bel colore rosso scuro) ho provato ad immaginare una zuppa che sapesse di Sicilia. E la zuppa in questione è la seguente. 




Ingredienti per quattro persone: 

250 gr di fagioli vellutina
1 litro di brodo vegetale leggermente salato
3 patate piccole o una grande 
1 spicchio d'aglio
1 rametto di rosmarino
1 peperoncino fresco
5 pomodori secchi 
2 fette di prosciutto
mezzo cucchiaio di capperi sotto sale
2 pomodori ramati

Lascia in ammollo i fagioli vellutina per una notte. In un tegame di coccio metti a rosolare lentamente lo spicchio d'aglio tritato, i capperi dissalati e tritati, le foglie di un piccolo rametto di rosmarino tritate, il prosciutto tagliato a listarelle, i pomodori secchi tagliati a listarelle e il peperoncino tritato. Sbuccia le patate e tagliale a scagliette. Scola i fagioli dall' acqua e sciacquali. Quando tutto è ben rosolato, aggiungi fagioli e patate e lascia insaporire per cinque minuti, rimestando con un cucchiaio di legno. Aggiungi il brodo ben caldo con un mestolo, fino a coprire di poco il livello dei fagioli. Metti un coperchio e a fuoco basso lascia cuocere. 
La zuppa ha bisogno di un' ora e mezza per cuocere, con progressive aggiunte di mestoli di brodo caldo quando il precedente sarà stato assorbito. Quando la cottura sarà quasi ultimata, incidi due pomodori ramati e sbollentali in acqua calda per pochi secondi, poi spellali e tagliali a pezzettini. Spegni il fuoco e aggiungi alla zuppa i pezzetini di pomodoro, che cuoceranno leggermente con il calore della zuppa. Versa in una ciotola ogni porzione e condisci con un filo d'olio. 

venerdì 16 settembre 2011

La focaccia quasi perfetta

Il mio rapporto con la panificazione è un rapporto d'amore un po' ossessivo. Da anni faccio e rifaccio le stesse cose, sognando una perfezione che sta evidentemente solo nella mia testa e a volte nella memoria delle mie papille gustative. 
In particolare la focaccia, preparazione ingannevolmente semplice, mi occupa da tanto tempo: varie miscele di farina, vari tipi di lievito, tempi e modi di lievatazione... Sognavo una focaccia un po' altina, morbida, salata al punto giusto, ma anche con una crosta friabile. Olio sì, ben condita, ma non untuosa. Come sempre accade in cucina, ai risultati più soddisfacenti ci si arriva per caso e io, a capire la sequenza di azioni ottimale, ci sono arrivata perché avevo avviato la lievazione ma poi sono uscita e quando sono tornata era già mezzanotte e allora volevo andare a dormire e ho lasciato la focaccia già stesa a lievitare un' intera notte.
A volte basta una notte, per avere la mattina un sapore nuove e fragrante a riempirti lo stomaco.


Ingredienti:

300 gr. di farina di semola di grano duro
1 cucchiaino di sale fine
1 cucchiaio di olio per l' impasto
1/4 di un cubetto di lievito di birra
un bicchiere di acqua tiepida quasi colmo

Versa la farina in una ciotala abbastanza capiente, aggiungi il sale e l' olio, mescola con una forchetta. Sciogli il lievito nel bicchiere d'acqua, versa mezzo bicchiere nella farina, mescola con la forchetta. Ungeti le mani con un po' di olio, così l' impastare riuscirà più facile.
Aggiungi l' altra acqua, poco per volta, facendo attenzione a non ottenere un impasto troppo umido. Impasta per dieci minuti. Ungi una teglia rotonda, stendici sopra la pasta facendo con le dita tante fossettine. 
Versaci sopra un filo d'olio, un pizzico di sale e se vuoi origano o rosmarino. Copri la teglia con un telo da cucina e lascia lievitare in forno per una notte. La mattina tira fuori la focaccia, accendi il forno a 200 gradi. Quando il forno sarà caldo, inforna per 15/20 minuti: quando la focaccia diventa dorata è pronta.

lunedì 20 giugno 2011

No, il pollo no!

Mi è successa una cosa strana, dopo la lettura di Eating animals di Jonathan Safran Foer. 




Non mi ha convinto a diventare vegetariana perché a me il prosciutto di Parma, ad esempio, piace troppo. Io lo considero una delle prove non tanto dell' esistenza di Dio quanto della sua bontà. Anche una bella fiorentina, ogni tanto, non è un brutto vivere. Una bella fiorentina di qualità, bevuta con un buon bicchiere di Chianti. Continuo a credere che le proteine delle carne siano di qualità superiore rispetto a quelle dei legumi e quindi mangiare carne di buona qualità, in quantità modeste, non costituisce un pericolo per la salute. La specie umana si è evoluta anche grazie alla carne di mammuth, io non lo so cosa sarebbe successo se si fossero limitati a mangiare radici e piante. 

Ho letto nel libro di Foer notizie dettagliate su come vengono allevati mucche e maiali e sono descrizioni tremende. Ma il mio cervello è riuscito a dimenticarle. Mentre rimane indebilebile il ricordo della descrizione dell'allevamento di polli. Io, da quando ho letto il libro di Foer, non riesco più a mangiare pollo. E dire che mi piaceva, il pollo arrosto. Non è tanto una questione salutista ma mi si stringe il cuore nel pensare alla vita infelice che il pollo ha condotto, senza vedere mai la luce naturale beccando insetti in un pratino. 
E' buffo come i nostri sistemi di credenze e valori, se non stiamo a livellarli in nome della coerenza, si rivelino per quello che sono: un agglomerato magmatico di scelte sentimentali in continua evoluzione. 

Probabilmente non sarò mai vegetariana, però io il pollo da oggi non lo mangio più. 

domenica 12 giugno 2011

Semifreddo alla ricotta con mandorle, semi di papavero e vaniglia

Un dolce semplice e delicato



Per la base:
1 uovo
120 gr di farina
50 gr di zucchero
20 gr di burro ammorbidito 
mezzo cucchiaino di lievito per dolci
un pizzico di sale
latte qb. 


Per la crema:
250 gr di ricotta 
100 gr di formaggio tipo philadelphia
1 tuorlo d' uovo
2 cucchiai di lamelle di mandorle
1 fiala di essenza di vaniglia
zucchero a velo
latte qb. 
semi di papavero


Sbatti l' uovo con lo zucchero, la farina e il burro ammorbidito. Aggiungi del latte se l' impasto non è abbastanza fluido. Ricordati del lievito e del pizzico di sale. Inforna a 180 gradi in uno stampo da plumcake per 20 minuti circa (controlla la cottura, in ogni caso, prima di spegnere il forno). Lascia raffreddare, taglia la copertura della base in modo da avere una base livellata e spugnosetta. 
Lavora con una forchetta il formaggio, aggiungi la ricotta a cucchiaiate, lo zucchero a velo, le lamelle di mandorle, la vaniglia e infine l' uovo. Ci sono due ingredienti che devi dosare con cura: lo zucchero a velo e il latte. Questo dolce è molto buono anche se non metti tanto zucchero nella crema ma in ogni caso aggiungi poco zucchero per volta e trova tu il livello di dolcezza che ti soddisfa. 
Il latte servirà invece a dare una consistenza cremosa al tutto, aggiungine poco per volta per evitare di ottenere una crema troppo liquida.
Versa sulla base nello stampo da plumcake. Aggiungi i semi di papavero. Lascia in frigo per qualche ora prima di mangiarlo. 

martedì 31 maggio 2011

Muffins alle banane

Tutto il profumo di una banana in sei deliziosi muffins


Ingredienti:

- 120 gr. di farina 
- 50 gr. di zucchero
- 1 uovo
- 25 gr. di burro ammorbidito
- 1 banana 
- il succo di mezzo limone
- 25 cl di panna
- 1/3 di una bustina di lievito per dolci
- un pizzico di sale
- latte qb

Riduci la banana in poltiglia con una forchetta, aggiungi il succo di mezzo limone per non farla annerire. 
Sbatti con una frusta l' uovo, aggiungendoci lo zucchero, poi il burro ammorbidito, la farina a cucchiate, la panna, il lievito e un pizzico di sale. Infine aggiungi la banana schiacciata. Se il composto dovesse risultare troppo duro, aggiungi un po' di latte. Versa il composto negli stampini per muffins, inforna in forno già caldo a 170 gradi per 20 minuti.

Un inizio

Non mi fido di chi non mangia tutto.


Fatta eccezione per allergici, vegetariani, vegani e chi, per ragioni di credo religioso, tiene fuori dalla sua dieta determinati alimenti, malsopporto chi manifesta strane idiosincrasie (non mangio la verdura verde, non mangio i funghi secchi, non mangio la cioccolata). Possono esistere delle preferenze, ma non mangiare un piatto solo perché c'è una minima quantità dell' alimento avversato mi fa tristezza.

Magari la prima volta che hai mangiato i funghi secchi eri di cattivo umore e il piatto era preparato male e hai avuto un' epifania negativa. Magari tua madre ti ha costretto a mangiare da piccolo le verdurine-che-fanno-tanto-bene. Ma chi non cambia opinione? Cambiare opinione, rivedere i propri gusti, è vitale. E' una questione di adattamento e di sopravvivenza.

Si narra nella mia famiglia che da bambina non mangiassi quasi nulla. Avevo di sicuro molte antipatie alimentari ma in definitiva - anche per le cose che mi piacevano - ne mangiavo davvero poco e di malavoglia. 

Potevo insomma sfoggiare già in tenerissima età un talento da anoressica, quale poi non sono mai diventata (fortunatamente). Il cibo durante l' adolescenza era semplicemente una questione di nutrizione. 

Poi il distacco da casa e l' iscrizione in un' università lontana. La necessità di dover pensare al proprio cibo da sé. Gli anni della mensa universitaria. E' lì che mi sono accorta di poter mangiare tutto perché quando hai fame non stai a pensare che le lenticchie non ti piaccono.

Ogni volta che tornavo a casa, mangiavo di gusto cibi dei quali prima mi lamentavo. Il commento, sorpreso: "Hai visto? Ha imparato a mangiare".

La mia evoluzione è proseguita, dopo aver imparato a mangiare ho iniziato ad imparare a cucinare. Un processo lento, graduale, fatto di esperimenti, di amori improvvisi (mangiare la stessa zuppa per tre giorni di fila), di errori ed orrori. Di epifanie, ancora.

Per me oggi il cibo ha una componente emotiva fortissima. Volevo da tempo iniziare un blog di ricette, e volevo chiamarlo proprio così, Cibo Conforto, la traduzione letterale dell' inglese comfort food, perché un piatto preparato con amore è uno di quei gesti semplici che migliorano il mondo.